mercoledì 7 novembre 2012

Medicina difensiva e responsabilità professionale: una breve rassegna

Riporto un articolo molto interessante di Arnaldo Capozzi su DottNet sulla lotta alla medicina difensiva utilizzando lo strumento di un decreto del 1946, e di seguito un'articolo di Mauro Marin su Univadis sulla responsabilità professionale in relazione al decreto Balduzzi.
Gli argomenti sono fra loro strettamente correlati e di grande rilevanza per l'attività quotidiana di tutti noi.
Buona lettura.

Lotta alla Medicina Difensiva

dott.Arnaldo Capozzi pubblicato su DottNet

 La paura è stata alla base del “successo” della Medicina Difensiva e la stessa paura, spostando il bersaglio sul Consulente scorretto, potrebbe essere alla base della sua fine.

“Chiunque: Associazione tra Medici, ASL, Ospedale, Reparto Ospedaliero … dichiarerà di effettuare la revisione deontologica permanente di tutte le pratiche medico-legali utilizzando, se necessario, la richiesta al proprio Ordine dei Medici di interposizione nelle controversie tra sanitario e sanitario ai sensi dell’art. 3- lettera g del D.Lgs.C.P.S. n. 233 del 13 settembre 1946 potrà rivendicare di aver sconfitto per primo la Medicina Difensiva”.

Si potrà iniziare a parlare di fine della Medicina Difensiva soltanto quando non ci saranno più le cause inutili cioè quel 70-80% di cause che vedono, attualmente, il medico vincitore.

 Nel D.Lgs.C.P.S.13.09.1946 n.233 art.3, lett.g. (legge istitutiva della FNOMCeO) leggiamo che, al Consiglio direttivo di ciascun Ordine e Collegio spetta l’attribuzione di: “…interporsi, se richiesto, nelle controversie fra sanitario e sanitario, o fra sanitario e persona o enti a favore dei quali il sanitario abbia prestato o presti la propria opera professionale, per ragioni di spese, di onorari e per altre questioni inerenti all'esercizio professionale, procurando la conciliazione della vertenza e, in caso di non riuscito accordo, dando il suo parere sulle controversie stesse.”

1)     Il primo atto del medico chiamato in causa dovrebbe essere quello di confrontare la relazione peritale avversa con il Codice Deontologico CD e, in caso di incongruità deontologiche (gli articoli più significativi appaiono il n.62 ed il n.58), far seguire la richiesta di interposizione al proprio Ordine professionale.

Le pratiche medico legali fanno parte a pieno titolo delle ”questioni inerenti all'esercizio professionale”.
Il legislatore del 1946  aveva posto le basi affinché la “conciliazione della vertenza” fra “sanitario e sanitario” avesse una chance in più per concludersi nella loro sede naturale di appartenenza. Tale chance si basava (e si basa) sull’uso del Codice Deontologico. L’incontro permesso dal decreto in oggetto fra il medico ed il perito in ambiente ordinistico è in grado di aprire scenari interessanti: il senso dell’”assoluta” ragione nella perizia nata a furor di popolo può facilmente ridursi, dopo l’incontro, in un “molto probabilmente” se non in un “forse”. Il paziente che ha denunciato, messo al corrente delle sopraggiunte difficoltà, potrebbe essere spinto a risolvere il contenzioso in poche settimane. Il furor di popolo potrebbe “sfumare” di fronte, ad esempio, ad una neonata possibilità di richiesta futura di risarcimento questa volta da parte del medico chiamato in causa.
Ma il legislatore era andato oltre; vedi successivamente: “retroattività” e “sospetto di dolo del Consulente”.

2)     Anche dopo l’ultimo decreto-Balduzzi, il magistrato può nominare come CTU un medico di sua fiducia pur se non compreso negli elenchi dei consulenti tecnici.
Secondo Farneti:  “È pacifico che, se per ovviare all’ignoranza specifica del medico legale è necessario un esperto, altrettanto dicasi per l’esperto ignorante di medicina legale. Ma così non è sempre: vi sono casi affidati solo allo specialista spesso di grande competenza nello specifico settore, ma totalmente digiuno di basi culturali medico-legali o peggio ancora convinto  che chiunque possa svolgere attività medico legale purché ne abbia avuta investitura dal giudice (o dall’avvocato n.d.r.)!  Questo “cavalierato” medico legale è, come noto a tutti, quanto di più nocivo vi possa essere per una corretta amministrazione della giustizia e non raramente va a scapito degli interessi dell’una o dell’altra parte”.

3)     Soltanto i medici che abbiano i requisiti presenti nell’art. 62 del C.D. possono firmare relazioni medico-legali senza incorrere a possibili sanzioni disciplinari (art.62 C.D.: … L’espletamento di prestazioni medico-legali non conformi alle disposizioni di cui ai commi precedenti costituisce, oltre che illecito sanzionato da norme di legge, una condotta lesiva del decoro professionale).

Quindi, esiste il tribunale per le conclusioni tecnico-giuridiche-scientifiche  e l’Ordine dei medici per  il rispetto del Codice Deontologico. Lo scopo di questo articolo è dimostrare che soltanto una visione superficiale può rendere la carta deontologica poco rilevante.

In tal senso appaiono interessanti anche gli articoli pubblicati su Quotidiano Sanità:
1) Responsabilità professionale. Se è il consulente tecnico ad avere paura
2) Responsabilità professionale. E se a "pagare" fossero i periti?
3) Lotta alla medicina difensiva. Un decreto dimenticato

Con la richiesta di “interposizione” al proprio Ordine, il medico difende la propria onorabilità nella  propria “casa” e la  pretende dal Consulente Tecnico di Parte e d’Ufficio. Il medico, vincolato soltanto dal Codice Deontologico, può difendersi anche soltanto con la sua cultura.

4)     Il legislatore pose un vincolo: per ottenere l’interposizione dell’Ordine professionale è necessaria la “richiesta”. Essendo il decreto praticamente sconosciuto, in questi anni non si è potuto realizzare; l’Ordine professionale non ha potuto esercitare pienamente il suo ruolo di controllo deontologico soprattutto delle perizie medico-legali fra Colleghi (!).

Disatteso il decreto del 1946, come per rottura di un argine, sono contestualmente aumentate  in generale le perizie medico-legali.  Il sospetto che questo aumento abbia riguardato soprattutto le perizie firmate da consulenti privi della competenza richiesta dall’art. 62 deriva dal fatto  che il 70-80% delle cause sono vinte dagli stessi medici chiamati in causa.
Nessuno vuole nascondere la realtà dell’errore in medicina, ovviamente, ma è evidente la necessità di combattere le cause frivole ed inutili che sono, secondo il Procuratore Capo Di Venezia Carlo Nordio: “in percentuale molto rilevante e rappresentano tentativi di arricchimento che fanno danni enormi alla tutela della salute dei cittadini ed alle casse dello stato”.
Con l’aumento della contenziosità si è instaurata la cultura dell’errore. Questa, a sua volta, ha fornito nuova forza alla contenziosità. Contestualmente, è nata e si è sviluppata la Medicina Difensiva.

5)     Il fatto che il decreto del 1946 non sia stato utilizzato in tutti questi anni (tranne dal sottoscritto e non so chi altro) non significa che le attuali decine di migliaia di pratiche medico-legali e quelle decine di migliaia passate siano esenti da problematiche deontologiche!

E’ realistico pensare che, Colleghi venuti a conoscenza del decreto del 1946, possano considerare l’ipotesi di richiedere istanze di tipo deontologico da utilizzare come grimaldello nella mediazione civile al fine di ottenere tutti i possibili giovamenti del caso. Mentre nelle cause passate e vinte, i medici possono considerare l’ipotesi che istanze di tipo deontologico potrebbero essere utili per la richiesta di eventuali risarcimenti nei confronti dello stesso perito.

Si riportano alcuni esempi di possibile uso del Codice Deontologico.
Ancora oggi, nel decreto Balduzzi, si parla della necessità che il Consulente Tecnico d’Ufficio abbia competenze specifiche mentre sarebbe sufficiente far rispettare l’art.62  che, in tema di perizie medico-legali, afferma: …L’accettazione di un incarico deve essere subordinata alla sussistenza di un’adeguata competenza medico-legale e scientifica in modo da soddisfare le esigenze giuridiche attinenti al caso in esame”. Nello stesso modo si potrebbe facilmente richiamare, deontologicamente parlando, ad esempio, anche quel Consulente Tecnico di Parte ortopedico che firma perizie nei confronti di un ginecologo o nei confronti di un pediatra oppure quel Consulente Tecnico di Parte medico generico che firma perizie nei confronti di un urologo ….
Nelle assai frequenti abnormi richieste di risarcimento si potrebbe far rispettare l’art.62 del C.D. secondo cui: ”La consulenza di parte deve tendere unicamente ad interpretare le evidenze scientifiche… nonché mostrare prudenza nella valutazione relativa alla condotta dei soggetti coinvolti”.
Non si parla a sufficienza, poi, del fatto che ”il rapporto tra medici dovrebbe ispirarsi ai principi di corretta solidarietà, di reciproco rispetto e di considerazione dell’attività professionale di ognuno” che solo questo (art. 58 C.D.) potrebbe essere sufficiente a consigliare di chiudere istantaneamente certe perizie con deduzioni sconcertanti e voli pindarici dal punto di vista diagnostico e che non dovrebbe essere difficile evidenziare nelle perizie frivole. In tali perizie, normalmente, si rilevano più incongruità deontologiche.
In definita, può crearsi un’involontaria coalizione tra medici nei confronti di un unico Consulente responsabile della ripetizione di una medesima incongruità deontologica o di diverse incongruità nel corso di questi anni (retroattività). Il Consulente  potrà essere chiamato a rispondere all’Ordine professionale per numerose richieste di interposizione da parte dei Colleghi.  E dovrà ogni volta presentarsi all'appuntamento fissato dall'Ordine!
Non solo per difendersi, ma soprattutto perché la sua assenza comporterà il fallimento del tentativo di conciliazione dell’Ordine che, sempre sulla base del decreto del 1946, dovrà deliberare. Deliberare significa prendere posizione con assai probabili sanzioni disciplinari.
L’assenza del perito all’incontro fissato dall’Ordine non farà emergere tutte le critiche sulla riuscita della causa stessa. In caso di esito infausto della causa, il perito assente all’appuntamento fissato dall’Ordine potrebbe dover rispondere di aver negato al paziente la possibilità di procedere o meno nella vertenza in tempi brevi. Potrà essere chiamato a motivare la sua indisponibilità alla richiesta di tutela dell’onorabilità da parte di un Collega soprattutto se, invece, è stato puntuale agli incontri fissati dal consulente tecnico di ufficio. L’assenza del perito può comportare, in definitiva, un’ipotesi di “sospetto di dolo” nel suo comportamento “utile” per  le assicurazioni  al fine di non garantirgli o garantirgli solo in parte eventuali coperture finanziarie. Come riportato in “ Responsabilità professionale. Se è il consulente tecnico ad avere paura”, alle possibili sanzioni disciplinari possono aggiungersi gravi conseguenze finanziarie fino a determinare, potenzialmente,  una condizione di forte preoccupazione e paura allo stesso Consulente.
È verosimile che, annullando le perizie senza sicure e forti basi scientifiche (spesso deontologicamente opinabili) ed annullando le perizie senza quel grado di competenza richiesto dall’art. 62 del CD, si potrà tornare ad una fisiologica contrapposizione, con maggiore serenità nella vita professionale del medico e miglioramento della Medicina Difensiva.
La paura è stata alla base del “successo” della Medicina Difensiva e la stessa paura, spostando il bersaglio sul Consulente scorretto, potrebbe essere alla base della sua fine.
Il decreto del 1946 può rappresentare il vero argine all’aumento delle denunce in campo sanitario e non è necessario che si realizzino i vari scenari sopradescritti, chiaramente negativi per la vita professionale del perito. La Medicina Difensiva, infatti, ha insegnato che il solo rischio, la sola possibilità che si manifesti un fatto negativo può essere sufficiente a determinare grossolani cambiamenti di comportamento.

La responsabilità del medico nel decreto Balduzzi 

dott. Mauro Marin  MMG Direttore Distretto Sanitario di Pordenone pubblicato su Univadis
Il Decreto Balduzzi all’art. 3, comma 1, afferma che chi esercita una professione sanitaria attenendosi a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde “penalmente” per colpa lieve in caso di danno all’assistito, ferma restando la limitazione di responsabilità di cui all’art.2236 CC. Il giudice anche nella determinazione del risarcimento del danno deve tener conto della condotta del sanitario riguardo all’adesione a linee guida e buone pratiche accreditate.
Il Codice Civile (CC) afferma al comma secondo dell’art. 1176 l’obbligo di diligenza del professionista nell’esercizio della sua attività, con esclusione di responsabilità ai sensi dell’art. 2236 CC per eventuali danni quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, salvo in caso di dolo o colpa grave.
La difficoltà del caso concreto però non giustifica l’inadeguatezza della prestazione medica quando a base della colpa professionale vi siano la negligenza e l’imprudenza del professionista invece della sola imperizia (Cass Pen sez IV 24 giugno 1983 e Cass Civ sez. III 12 agosto 1995 n.8845 ).
Tener conto nel giudizio clinico di linee guida e buone pratiche accreditate è un dovere professionale già previsto dall’art.12 del codice di deontologia medica per cui questa norma appare scontata. Ma va precisato che le linee guida non sono percorsi a prova di errore : seguirle non esonera da responsabilità colposa e non seguirle non equivale di per sé a responsabilità colposa. Lo scopo delle linee guida è di orientare il giudizio clinico del medico, ma non di sostituirsi acriticamente ad esso nel singolo caso concreto. Seguire le linee guida è utile ma non sufficiente a dimostrare la correttezza della condotta del medico, secondo la sentenza n.8254 del 02/03/2011 della Cassazione sez. Penale IV.
Le linee guida sono uno strumento razionale per trasferire nella pratica clinica le evidenze derivanti da autorevoli studi clinici (www.pnlg.it), ma spesso non tengono conto della realtà di variabili individuali che il giudizio clinico del medico deve invece considerare nella cura dei singoli pazienti (JAMA 2005, 294: 716-24). Inoltre di norma le linee guida sono elaborate per singole patologie, mentre la realtà clinica più comune è quella di pazienti complessi con polipatologie e politerapie. L’applicazione acritica delle linee guida in essi può risultare anche dannosa. Tuttavia il Decreto Balduzzi riafferma che le linee guida, oltre ad essere un mezzo per orientare a priori la condotta del medico, devono servire per valutarla a posteriori rilevando il grado di adesione ad esse dell’attività sanitaria in esame.
Per il risarcimento del danno da colpa professionale, il Decreto Balduzzi stabilisce i criteri di regolamentazione delle polizze assicurative per i sanitari e le modalità uniche di determinazione del risarcimento del danno biologico ai sensi degli artt 138 e 139 del D.Lgs n. 209/2005.
Il Decreto Balduzzi tende a limitare il temuto ricorso al giudice penale ai casi di colpa grave o dolo dei sanitari, così da contenere indirettamente il fenomeno della medicina difensiva che comporta un aumento oneroso per il SSN delle richieste da parte dei medici di accertamenti diagnostici di dubbia appropriatezza principalmente allo scopo di autotutela medico-legale.